INFORMAZIONI E ORARI
MUSEO D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA A. ORTIZ ECHEGÜE
Atzara
La collezione della pinacoteca comunale ” Antonio Ortiz Echagüe” è costituita da circa un centinaio di opere che vanno dai primi anni del secolo scorso fino al 2016.
La sua nascita si collega idealmente a importanti vicende del primo Novecento, quando giunsero ad Atzara i pittori costumbristi spagnoli, affascinati dagli aspetti della cultura tradizionale locale.
Atzara, vivace e colta, diventò così il centro di elaborazione di un linguaggio pittorico autoctono d’ispirazione iberica, nonché il crocevia obbligato per la formazione di importanti artisti che vi soggiornarono più o meno a lungo: Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Mario Delitala, Carmelo Floris, Stanis Dessy, solo per citare i più noti le cui opere fanno parte della ricca esposizione. Sono presenti inoltre opere di Antonio Ortiz Echagüe, Antonio Corriga, Vittorio Tolu, Bernardino Palazzi, Pietro Antonio Manca, Mauro Manca, Gino Frogheri, Antonio Atza, Gavino Tilocca e tanti altri.
Sia stilisticamente che tematicamente, esse offrono una panoramica completa delle tendenze artistiche del XX° secolo.
Essendo una collezione molto varia, non essendo omogenea e senza un tema preciso è stato scelto un criterio espositivo che valorizzi le opere nella loro diversità.
Nella sala al piano terreno sono state collocate le opere degli artisti spagnoli e isolani che nei primi anni del Novecento soggiornarono per brevi periodi nella cittadina di Atzara
La sala II raccoglie una serie di opere classificate secondo un criterio temporale, vista l’eterogeneità della collezione formata da numerosi artisti differenti per stile, formazione e periodo di produzione. Al visitatore si propone un percorso che inizia con alcune opere della prima metà del Novecento per proseguire poi in un excursus temporale nel quale si succedono i nomi di alcuni grandi protagonisti del secolo scorso.
Le tematiche trattate nelle opere sono diverse, ritroviamo infatti dei temi tradizionali ma anche paesaggi trattati secondo tendenze espressionistiche. Varietà di stili dunque, di periodi storici, ma sempre grandi personalità artistiche che hanno segnato la storia dell’arte dell’Isola. Dall’agosto 2009, a seguito di importanti lavori di abbattimento delle barriere architettoniche, l’accesso al Museo è facilitato anche per i soggetti diversamente abili.
La sua nascita si collega idealmente a importanti vicende del primo Novecento, quando giunsero ad Atzara i pittori costumbristi spagnoli, affascinati dagli aspetti della cultura tradizionale locale.
Atzara, vivace e colta, diventò così il centro di elaborazione di un linguaggio pittorico autoctono d’ispirazione iberica, nonché il crocevia obbligato per la formazione di importanti artisti che vi soggiornarono più o meno a lungo: Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Mario Delitala, Carmelo Floris, Stanis Dessy, solo per citare i più noti le cui opere fanno parte della ricca esposizione. Sono presenti inoltre opere di Antonio Ortiz Echagüe, Antonio Corriga, Vittorio Tolu, Bernardino Palazzi, Pietro Antonio Manca, Mauro Manca, Gino Frogheri, Antonio Atza, Gavino Tilocca e tanti altri.
Sia stilisticamente che tematicamente, esse offrono una panoramica completa delle tendenze artistiche del XX° secolo.
Essendo una collezione molto varia, non essendo omogenea e senza un tema preciso è stato scelto un criterio espositivo che valorizzi le opere nella loro diversità.
Nella sala al piano terreno sono state collocate le opere degli artisti spagnoli e isolani che nei primi anni del Novecento soggiornarono per brevi periodi nella cittadina di Atzara
La sala II raccoglie una serie di opere classificate secondo un criterio temporale, vista l’eterogeneità della collezione formata da numerosi artisti differenti per stile, formazione e periodo di produzione. Al visitatore si propone un percorso che inizia con alcune opere della prima metà del Novecento per proseguire poi in un excursus temporale nel quale si succedono i nomi di alcuni grandi protagonisti del secolo scorso.
Le tematiche trattate nelle opere sono diverse, ritroviamo infatti dei temi tradizionali ma anche paesaggi trattati secondo tendenze espressionistiche. Varietà di stili dunque, di periodi storici, ma sempre grandi personalità artistiche che hanno segnato la storia dell’arte dell’Isola. Dall’agosto 2009, a seguito di importanti lavori di abbattimento delle barriere architettoniche, l’accesso al Museo è facilitato anche per i soggetti diversamente abili.
I colori della Spagna sulla tela di Sardegna
E’ nei ricordi di Antonio Corriga, che si può ripercorrere a ritroso l’affascinante storia degli artisti spagnoli giunti nell’isola agli inizi del secolo scorso.
Da un incontro fortuito tra un gruppo di pellegrini atzaresi giunti a Roma per il giubileo del 1900 e il giovane studente spagnolo Edouardo Chicharro Agüera, trae origine una sequenza naturale di eventi che, nel corso dei decenni successivi, porteranno ad Atzara importanti pittori sardi, spagnoli e argentini. A testimonianza di ciò, meravigliose opere d’arte, che hanno impresso come su una fotografia il tempo e i colori di Sardegna e di una comunità rurale di inizio secolo.
Un’opera cinematografica a quei tempi non avrebbe restituito oggi, lo stesso fascino lo stesso sapore che le tele di Chicharro e Ortiz evocano agli occhi di chi avidamente ricerca emozioni nel passato di una comunità, quella atzarese, che tanto ha affascinato i due pittori Costumbristi spagnoli (Ortiz e Chicharro).
<<Il palazzotto di Carmina e Pietro Sias, sprofondato fra i tetti sconnessi del rione più dimesso del paese, si circondava di antico mistero – racconta Corriga- una volta varcata la soglia e conquistato il privilegio di esservi accolti, quelle pareti biaccose e fresche, perché frequentemente ripassate di calce, quei profumi intriganti che sapevano di passato, la maggiorana e il mandarino arsi nei bracieri di rame, i mannelli di lavanda seccata entro gli armadi, gettavano un fascino sottile su di me giovanissimo frequentatore.
Le raccolte de “La Domenica del Corriere” e de “L’illustrazione italiana”, ordinate scrupolosamente nelle vetrine a muro assieme a ceramiche pretenziose di lustri metallici e di cangianti patine auree, conferivano quel tono distinto che è proprio delle case facoltose e ricche>>.
La casa Sias era assurta a salotto culturale atzarese dove si discettava di storia e di politica in termini aconfessionali.
Nelle bianche e gibbose pareti, alle vecchie e scontate oleografie, si frammischiavano con ostentata ricercatezza una serie di dipinti ad olio che rappresentavano soprattutto personaggi atzaresi facilmente individuabili; un austero ritratto dello stesso Pietro Sias, che indossava una calda paglietta, dipinto da Antonio Ortiz Echague de Guadalajara, campeggiava sulla parete principale. Dello stesso autore, un dettaglio a grandezza naturale forse ricavato dalla grande composizione “La festa della confraternita di Atzara ” esposto a Roma nel 1909 ed ora al Museo di San Telmo a San Sebastian in Spagna.
Di Eduardo Chicharro era pure la tela con “Figure in controluce” ed il bozzetto “Figure di Mamoiada”. Altre opere di questi straordinari artisti si ammiravano presso altre abitazioni di Atzara; il ritratto di Bartolomeo De Murtas, con il relativo studio preparatorio in bianco e nero.
Filippo Figari, in una delle frequenti conferenze presso l’Aula magna dell’Istituto d’Arte per la Sardegna a Sassari, di cui Corriga è stato allievo, mentre confessava la suggestione e la grande influenza esercitata dai giovani pittori spagnoli sugli artisti sardi di quel momento, definiva questo disegno come esemplare e di rara fattura.
«Ma soprattutto influirono su me e su tanta pittura sarda che è venuta dopo, gli “spagnoli di Atzara”. Di costoro e della loro opera si parlava come di qualcosa che tutti avremmo dovuto conoscere.
Il “Pranzo a Mamoiada” di Ortiz era considerato il nonno se non il padre di tutta la pittura sarda che si è sviluppata in quegli anni ruggenti del nostro folclore».
Queste opere probabilmente, non erano che la parte meno significativa della
produzione di questi due giovani se si presume che la parte migliore l’abbiano
trasferita a Roma e Madrid, centri di provenienza, ed in Argentina dove Ortiz si trasferì qualche tempo dopo avere terminato il soggiorno sardo.
Frequentarono Atzara, in quegli anni, Antonio Ballero, la cui famiglia vi possedeva una bella tenuta con casolare, ed il De Quiros di cui il Ballero ci ha lasciato un ritratto di straordinaria freschezza e modernità oggi proprietà del Museo d’arte di Atzara
Questo processo d’informazione, che, mobilitando le giovani energie artistiche di allora, aveva coinvolto sicuramente lo stesso Francesco Ciusa di cui si fa menzione in qualche lettera dì Ortiz, aveva attratto Giuseppe Biasi e Filippo Figari e finirà col condizionare a lungo ed in profondità l’elaborazione di un linguaggio autoctono, le scelte stilistiche, il timbro pittorico e le stesse tematiche fatalmente collegate a quel filone del “costumbrismo” che informava tanta pittura iberica nei lustri a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo.
È importante ricordare che quando si verifica la immigrazione dei giovani
spagnoli verso la Sardegna, e verso Atzara in particolare, Chicharro vi giunge, come dicevamo, nella primavera del 1900.
L’arte sarda continuava a patire di quell’astemia culturale che per secoli, ma nell’Ottocento in particolare, aveva posto la Sardegna in condizioni di totale emarginazione rispetto a tutti quei fermenti creativi e innovatori che segnavano l’Italia continentale ed in misura maggiore la Francia e la stessa Germania con l’articolato movimento impressionista.
L’arrivo pressoché improvviso e apparentemente immotivato dei pittori iberici nell’isola trova la situazione artistica sarda incantata dagli orpelli di culture stanche e tediose e perciò superate e fuori del tempo, soprattutto se
riferite a quanto contemporaneamente andava attraversando l’Europa col
conseguente stravolgimento di moduli e schemi che non reggevano i ritmi
imposti dall’affermarsi di moderne tecnologie nel campo dell’ottica e della
visuale ma anche nel senso di quella concettualità rigorosa che deve presiedere il rapporto fra architettura e costruzione pittorica.
Con Chicharro, Ortiz Echague e De Quiros arrivano in Sardegna e ad Atzara
segnali più o meno riflessi e messaggi sugli assetti verso cui si indirizza la
ricerca delle correnti pittoriche europee degli ultimi decenni del secolo appena trascorso.
Reciproche mutuazioni franco – iberiche, anche in questo caso, fanno si
che Manet e Courbet siano in qualche modo presenti nella stesura cromatica e nel taglio compositivo del ritratto di Pietro Sias di Ortiz Echague, così come
nelle “Figure in controluce” di Chicharro.
L’arrivo di Eduardo Chicharro ad Atzara avviene alla fine di maggio del 1900 e coincide con le celebrazioni delle festività di San Mauro che si tengono nel
complesso monumentale arroccato in una delle ultime prominenze della catena del Monte. Dai racconti che ne facevano quei vecchi che lo avevano conosciuto, il giovane “straniero” divenne fatalmente oggetto di curiosità, in quanto personaggio atipico, studiato e spiato nei suoi comportamenti, forse talvolta bonariamente canzonato ma anche amato e ammirato per quei prodigi nell’esercizio artistico.
Quando vi giunse Chicharro, ad Atzara la vita scorreva liscia, senza grandi ansie e senza sfarzi ma anche senza la biblica miseria che attanagliava altre comunità.
Le varianti al tran-tran giornaliero erano costituite dal rincorrersi puntuale delle festività scandite in un programmato calendario ricorrente in quei periodi in cui l’interruzione non intacca i ritmi produttivi.
La più attesa di queste, rutilante di colori e rumorosa, era quella di San Mauro che impegnava l’ultima settimana di maggio. Il tempio di San Mauro, sotto
l’acrocoro in cui insistevano rovine di un antico convento di monaci greci, si
fregia di un tronfio rosone gotico catalano presente in altri coevi edifici della
zona. Addobbata di ex voto di “miracolati” e di un arredo liturgico piuttosto
modesto, s’affaccia su un suggestivo patio circondato da alcuni ombrosi olmi
centenari e da qui si ammira il bel casolare rosato dei Ballero nella collina che
fronteggia simmetricamente quella di San Mauro.
La festa di San Mauro richiamava gente d’ogni parte della Sardegna, sia perché ricca di attrazioni, sia perché a lato della festa religiosa e civile, vi si svolgeva uno fra i più importanti mercati di bestiame.
Affluivano a San Mauro folle di pellegrini devoti e mesti, imploranti sofferenti ma anche avventurieri e mercanti e tra la folla disordinata vi si confondeva solitamente qualche temerario latitante.
Tra le baracche improvvisate, nel rincorrersi di musiche ancestrali o lo snodarsi delle danze, s’accendeva furiosa la morra ed esplodevano le risse di ladri e avvinazzati. Già nel pianoro si esibivano gli ardimentosi cavalieri che mostravano i propri destrieri scalpitanti fra nuvole di polvere, grida di donne esagitate, urla di bambini atterriti.
Tale fu l’impressione che ne ricevette Chicharro, da progettare, subito dopo, una grande composizione in cui fosse rappresentato il “ritorno dalla festa di San Mauro”.
La chiesetta sconsacrata di San Giorgio ad Atzara è stata a più riprese l’atelier ideale per diversi pittori, specialmente quando questi si sono trovati ad affrontare tele di dimensioni ragguardevoli come “Il ritorno dalla festa di San Mauro” di Chicharro o successivamente quando il secondo spagnolo Antonio Ortiz Echague vi dipinse la grande tela de “La festa della confraternita di Atzara” e più tardi ancora quando un altro pittore della scuola iberica, Eduardo De Castillo, preparò gli studi per “Il pane “.
Si pensa che la causa che ha spinto Chicharro verso Atzara la si trovi in una curiosa concomitanza: le celebrazioni giubilaiche dell’Anno Santo avevano richiamato un folto gruppo di pellegrini sardi organizzati da alcune nobili famiglie cagliaritane, come riportato dal Bollettino Ufficiale dei pellegrinaggi del Gazzettino Sardo, organo diocesano cagliaritano. A questo gruppo si aggregò una mezza dozzina di atzaresi di cui faceva parte quel Bartolomeo Demurtas che diventerà l’elemento determinante per condurre in Sardegna Eduardo Chicharro. Si conobbero infatti a Roma alle celebrazioni vaticane; il giovane spagnolo fu attratto dal caratteristico abbigliamento della comitiva.
Invitato a visitare Atzara non si fece pregare ed ottenuta l’autorizzazione
dell’Accademia vi si trasferì. Effettivamente il paesaggio, il clima e la tipologia
degli abitanti offriva materiale ideale e stimolante per la sua pittura
rigorosamente costruita di forte modellato plastico.
Vi si fermò e si sarebbe trattenuto a lungo se un attacco violento di malaria non lo avesse costretto a rifare le valigie. Nei primi mesi dell’anno successivo rientrò all’Accademia di San Pietro di Montorio della quale diventerà per lunghi anni direttore.
E fu lo stesso Chicharro a convincere il nuovo borsista Antonio Ortiz
Echague de Guadalaira a puntare su Atzara. Questi, a sua volta, vi soggiornò per qualche anno prendendo alloggio presso quella locanda da “Puerto Escondido” di “Giorgigheddu Maccioi” col quale, a causa delle difficoltà economiche, aveva avuto alterchi più o meno vivaci e frequenti e spesso di pubblico divertimento.
Antonio Ortiz Echague, nato a Guadalajra nel 1883 aveva appena ventiquattro anni quando giunse in Sardegna. Eduardo Chicharro lo aveva presentato agli amici Antonio Ballero e Francesco Ciusa e con la compagnia di costoro visitò i dintorni di Nuoro fermandosi a lavorare per qualche tempo a Mamoiada e a Dorgali. In compagnia di Ballerò conobbe Atzara e qui decise di trattenersi più a lungo.
Antonio Ortiz Echague è certamente la figura più intrigante degli
spagnoli di Atzara.
La sua pennellata larga e pastosa, quel modellare i volumi e gli impasti con disinvolta perizia fanno della sua pittura un riferimento di eccezionale interesse. L’eleganza tonale della pittura secentesca, e del Velasquez in particolare, trasmettono suggestione e incanto.
Era stato un ragazzo prodigio e nella maturità uno dei pittori più affermati del periodo. Il pittore castigliano troverà ad Atzara le stesse amicizie che avevano sorretto qualche anno prima Eduardo Chicarro.
Tra la popolazione vi era persino una maggiore disponibilità a posargli e rendergli più agevole l’operare in ogni circostanza. Tuttavia quando
si accinse a dipingere la grande tela de “La festa della confraternita di Atzara” nella chiesetta di San Giorgio ebbe modo di soffrire molto la incomprensione ed il sabotaggio per la direzione di alcune giovani modelle, in quanto “questa professione apparteneva nelle metropoli a categorie di donne classificate di dubbia moralità”.
Risolvette l’incidente eseguendo studi staccati e frammentari che poi ricollocava puntigliosamente nella grande composizione delle tante figure che si muovono asimmetricamente attorno al grande tavolo imbandito a festa e che costituisce in qualche modo lo sviluppo compositivo e trionfale del “Pranzo a Mamoiada”.
E’ pensabile che tutte queste presenze abbiano costituito un motivo d’attrazione tanto forte da richiamare osservatori d’eccezione seppure giovanissimi come Giuseppe Biasi e Filippo Figari i quali iniziarono in tal modo una sorta di pellegrinaggio devoto e sempre più intenso verso il paese del Mandrolisai dove si andavano gettando le basi per una sorta di accademia spontanea che si andrà sviluppando informa quasi continuativa per lunghi anni. Percorreranno la pista atzarese Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Mario Delitala, Carmelo Floris e Stanis Dessy.
Figari prese dimora ad Atzara nell’aristocratico palazzo dei Conti di San Martino dove potè attrezzare uno studio ampio e idoneo ad ospitare le grandi tele per la sede delle Corporazioni, del Palazzo di Piazza Carmine a Cagliari e della pala “La moltiplicazione dei pani” della “Parrocchiale di Arborea” oltre ad un notevole numero di quadri da cavalletto.
Casa Figari costituiva nell’Atzara degli anni Trenta un richiamo di aristocratica
sacralità.
Era egli stesso, in quanto personaggio, oggetto di sconfinato rispetto e venerazione.
Figari aveva sposato e portato con sé ad Atzara una donna di rango, teatrale e con pretese canore da grande soprano che soleva accompagnarsi con un maestoso pianoforte per gorgogliare ininterrottamente arie e romanze di opere liriche celebrate. Nel 1935 Figari creò l’Istituto D’Arte per la Sardegna a Sassari e nel 1936, durante un viaggio nella costa napoletana, conobbe a Positano il pittore tedesco Richard Scheurlen. Rimase colpito dalla freschezza della pittura in pleinair che il tedesco faceva per le strade scoscese di Positano; grandi tele con figure colte in tutta la spontaneità dei movimenti e immerse in una atmosfera rarefatta in cui la luce del sole radente, scintillando nei profili principali delle masse compositive, conferiva quella mobilità che mancava nelle immagini jigariane, sempre scenografiche e perciò sottomesse al compromissorio linguaggio accademico delle sue grandi decorazioni. Scheurlen, instancabile viaggiatore, attento e colto conoscitore dei movimenti artistici europei, si fece agevolmente convincere a visitare Atzara dove la sua pittura avrebbe trovato più che altrove
occasioni ispiratrici ancora più coerenti.
E vi si trasferì per viverci e lavorarci
per circa una quindicina d’anni, allargando in tal modo quella catena iniziata
qualche lustro addietro.
Contrariamente a quanto si può pensare, Richard Scheurlen non ha solo amato Atzara, né sì è fatto condizionare ad osservatore passeggero, ma ne ha carpito il fascino ìntimo, è entrato nel profondo della sua anima, ne ha colto l’essenza reale.
La presenza di questi personaggi ha introdotto nel costume di vita del paese
elementi di duttilità e progresso culturale che per continuità e dimensioni, ha
travalicato gli angusti confini che lo limitavano.
Con la nascita del museo d’arte moderna e contemporanea dedicato ad Antonio Ortiz Echague si avvera nel 2000 un sogno accarezzato da tempo.